Lo so, l’8 marzo è già passato e non sono propriamente sul
pezzo. Ma concedetemi comunque questi pensieri.
Non voglio fare l’apoteosi di qualche personaggio femminile,
non ho preparazione filologica a sufficienza; non voglio nemmeno raccontare
quante siano le donne che nel mondo ancora si battono per diritti che in
occidente sono ormai ovvi. Non sono qui a dirvi che la festa della donna
dovrebbe essere celebrata ogni santo giorno.
Quello che volevo scrivere ha a che fare con quanto di più
sacro probabilmente possediamo in questa vita: il nostro corpo.
Ho una figlia femmina. E, anche se è ancora piccola, ogni
tanto mi pongo il problema: come posso educarla ad amare il proprio corpo?
Visto che la cosa oramai è davvero molto difficile.
E’ forse un’ovvietà parlare dei modelli di corpo femminile
che i media visivi propongono, pensare alle problematiche legate ai disturbi
alimentari (che in verità non riguardano solo le femmine), ricordare riviste
più o meno trash che a caratteri cubitali propongono diete del minestrone,
dell’ananas e cosi via (ma sull’argomento educazione alimentare mi piacerebbe
prima o poi fare un post a sé). Non da ultimo, ricordiamo i giocattoli che
vengono proposti alle bambine (ed anche sui giocattoli mi piacerebbe trattare
in un post dedicato), quei giochi che fanno rimpiangere le Barbie dei miei
tempi, che a confronto sembrano pingui matrone: bratz con teste gigantesche e
corpi così magri che – giustamente – hanno difficoltà a tenersi in piedi, winx
emaciate e parruccate, vampire che hanno aspetti devastati da qualche droga
pesante.
E in tutto questo bel panorama cosi poco vero, mi chiedo:
come educherò mia figlia ad amare e rispettare la sua immagine? Il suo corpo,
il suo tempio sacro che ho amato dal primo istante in cui i nostri calori si
sono conosciuti?
Accetto consigli! J
Vorrei raccontarle una storia. Una storia vera. Una storia
molto sciocca probabilmente. Ma è la storia da cui nasce questo post.
Frequento una piscina. Le docce sono aperte. Tutte ci
vediamo, ma ovviamente nessuno si mette a scrutare l’altra. Diciamo che i
nostri occhi passano veloci e leggeri da un corpo all’altro, in punta di
sguardo, più a misurare lo spazio a disposizione che ad osservare, per trovare
uno spazio libero e non per profanare l’intimità altrui.
Una mattina vicino a me ci sono due ragazze che parlano.
Parlano dei loro difetti fisici, della loro cellulite, della volontà e dei
sacrifici che intendono fare per mandarla via; parlano di una loro amica, di
quanto da quando è diventata mamma di un bimbo di 5 mesi non si faccia più
vedere e di come sia cambiato il suo corpo. Una confida un velato desiderio di
maternità, ma ci ripensa subito, immaginando gli effetti degenerativi che
avrebbe avuto sul suo corpo. Io non giudico. Ma sono lì ed anche se non mi
hanno coinvolto nella conversazione non posso certo spegnere il nervo acustico.
Prendo questa immagine e la porto con me a casa.
La settimana successiva vado al corso di acquaticità con la
mia Pappotta. All’uscita orde di mamme e figli a fare le docce.
E con la discrezione della settimana precedente il mio
sguardo vola sopra il corpo delle mamme presenti per trovare la nostra
collocazione nella stanza.
E penso. Penso a quanto i nostri corpi in realtà siano
assolutamente perfetti. Ad essere imperfetti sono quelli dei modelli che ci
mostrano. I corpi delle donne che crescono, allontanandosi dalle forme piatte
ed asciutte dell’adolescenza (adolescenza signore!), ed alcuni cambiano perché
sono diventati corpi di mamme che hanno portato dentro al loro corpo un figlio.
E vorrei tanto insegnare a Pappotta la perfezione della
natura che fornisce alla donna un corpo che può dilatarsi, nei suoi organi,
nella pelle, per fare spazio alla vita; vorrei insegnarle che un seno cadente
può esserlo perché in passato è stato ricolmo del latte che nutre.
Avrei voluto fotografare le rotondità perfette delle mamme
che erano lì con me – e nella mia mente l’ho fatto – affinché potessero
cogliere la loro morbida bellezza. Di un corpo che mai sarà come quello che
avevano prima di diventare madri. Perché il loro corpo ha conosciuto la
pienezza dell’accoglienza, la pazienza della sopportazione di un peso non
sempre facile da portare in giro, la sapienza e l’incoscienza del parto.
Vorrei che Pappotta capisse tutto questo un giorno.
Che la donna non ha bisogno di raggiungere degli standard
per essere Bella.
Che non è la donna a dover raggiungere la Bellezza, perché
la Bellezza E’ GIA’ Donna.